
Mantenere i figli è un obbligo per i genitori per il solo fatto di averli generati e prescinde dalla tipologia di rapporto che intercorre tra la coppia.
Infatti, tale obbligo sussiste in caso di figli nati da un matrimonio o da una convivenza, e permane in caso di separazione, divorzio o cessazione della convivenza.
I genitori devono provvedere congiuntamente al mantenimento, in proporzione alle rispettive risorse economiche e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo.
Fatta questa breve premessa, occorre soffermarsi sulla natura dell’assegno di mantenimento.
L’assegno di mantenimento per i figli, o più correttamente il contributo al mantenimento dovuto dal genitore non collocatario, è una somma di denaro che un genitore è tenuto a versare mensilmente all’altro genitore per contribuire alle spese di vita quotidiana dei figli.
Per determinare l’importo dell’assegno di mantenimento, salvo diversi accordi liberamente sottoscritti dalle parti, il giudice prende in considerazione molteplici elementi, partendo in primo luogo dalla permanenza del minore presso il genitore non collocatario.
Tuttavia, questa regola non trova una deroga nei periodi di vacanze estive in cui il figlio rimane “collocato” presso il genitore obbligato. In questa ipotesi, il genitore obbligato non può sospendere il pagamento del contributo al mantenimento. Questo perché la giurisprudenza ha chiarito che il mantenimento dei figli minori, versato mensilmente, non costituisce mero rimborso delle spese sostenute dal genitore collocatario nel mese corrispondente, bensì la rata di un assegno annuale, determinato tenendo conto delle esigenze della prole.
Ulteriori parametri per calcolare l’assegno di mantenimento sono:
Un ultimo fattore che il giudice tiene in considerazione, è quello relativo all’assegnazione della casa al genitore collocatario della prole. Tale assegnazione comporta un vantaggio economico per il genitore collocatario, mentre il genitore non collocatario deve cercare un altro luogo dove vivere.
L’assegno di mantenimento deve quindi essere parametrato alle effettive e provate esigenze ed abitudini economiche dei minori, al fine di evitare che il venir meno dell’unità familiare possa incidere eccessivamente sul tipo di vita condotta dai minori, garantendo così un supporto adeguato ai figli e rispettando le capacità contributive dei genitori.
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L’assegno di mantenimento è soggetto a rivalutazione annuale in base agli indici ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica) per adeguarsi al costo della vita, automaticamente e indipendentemente da una specifica disposizione o pattuizione nella sentenza di separazione o di divorzio.
La rivalutazione dell’assegno di mantenimento è finalizzata ad assicurare che la somma ricevuta mantenga il suo valore nel tempo, permettendo così al beneficiario di far fronte in modo adeguato alle proprie necessità economiche.
La rivalutazione ISTAT è dovuta per legge, indipendentemente dal fatto che sia richiesta dal genitore non collocatario, ed è soggetta al termine prescrizionale quinquennale.
Ciò significa che il beneficiario ha un periodo massimo di cinque anni, dalla data in cui l’adeguamento dovrebbe essere effettuato, per richiedere il pagamento delle somme dovute per la rivalutazione. Superato tale termine, non sarà più possibile reclamare la differenza non percepita a causa della mancata rivalutazione.
Le parti possono decidere di non applicare tale meccanismo di aggiornamento, ma questa scelta deve essere espressamente dichiarata, perché, in caso di silenzio, la rivalutazione monetaria è dovuta.
Come viene calcolata la rivalutazione?
Quindi, se un genitore versa un assegno di mantenimento di € 500 mensili e l’indice ISTAT registra un aumento del 2% rispetto all’anno precedente, l’assegno di mantenimento sarà aumentato a € 510 mensili.
L’assegno di mantenimento è una questione che richiede attenzione e professionalità. È possibile chiamare o inviare un’email per prenotare una consulenza personalizzata con l’Avv. Giorgio Carrara.
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